The New Atlas of Digital Art: l’immersività protagonista a MEET Milano
- FOCUS
- 25 Giugno 2024
Si è svolto il 20 e 21 giugno 2024, presso il MEET Digital Culture Center di Milano, The New Atlas of Digital Art. L’evento, al crocevia tra convegno, workshop e showcase, ha offerto attraverso testimonianze di istituzioni e aziende europee una panoramica di ampio respiro sulle declinazioni più recenti dell’immersività in arte, prendendo in considerazione numerosi media e tecnologie quali realtà aumentata e virtuale, installazioni, intelligenza artificiale (qui il programma completo).
A guidare relatori e pubblico in questo panorama dai confini incerti e in costante evoluzione è stata la metafora della cartografia, che ha preso vita all’interno del teatro del MEET tramite una mappa digitale realizzata in collaborazione con Zeranta, aggiornata in tempo reale al termine di ogni sessione. Come sottolineato più volte da Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, i lavori dell’Atlas si sono svolti nella consapevolezza della vastità ed eterogeneità delle soluzioni stilistiche, formali e contenutistiche dell’immersività in arte, a cui corrispondono mercati nuovi e spesso differenziati.
Un framework teorico ed economico
L’intervento di Chris Salter (Immersive Arts Space, Zurich University of the Arts) ha fornito un quadro storico-teorico di riferimento utile per ricostruire una genealogia del concetto di immersione. Questa consisterebbe nella perdita da parte dello spettatore della percezione del tempo e dello spazio, dei confini tra sé e ambiente circostante. Sfruttando da una lato la multimedialità, dall’altro l’economia dell’esperienza, è dunque possibile tracciare un fil rouge tra l’ormai storicizzato linguaggio dell’installazione e le più recenti derive commerciali delle mostre immersive.
Laurent Dondey (Grand Palais Immersif) ha appunto sollevato il problema della qualità dell’offerta in un mercato già saturo di esperienze cosiddette immersive, proponendo alcuni esempi riusciti oltre il mero intrattenimento. Parimenti Ana Brzezinska (Tribeca Festival) ha testimoniato l’ottima qualità della proposta di Tribeca Immersive 2024, frutto di un attento lavoro di curatela che ha dato esito a lavori commissionati tra architettura ed extended reality.
Si è concentrata sul mercato anche Laetitia Bochud (XR4 Europe), sottolineando la rilevanza numerica ed economica delle industrie creative, ma segnalando al contempo la debolezza dell’Italia sul fronte dell’XR rispetto al resto del continente. Un settore in cui il nostro paese avrebbe tuttavia ottime prospettive di crescita, dal momento che la specificità dell’Europa, rispetto all’Asia e alle Americhe, è la collaborazione tra industria e università.
Verso il museo 3.0
Non c’è dubbio che uno dei luoghi deputati dell’immersività sia il museo. Lo hanno testimoniato Ico Migliore (Studio Migliore+Servetto) e Sinan Turaman (Outdoor Factory & Creativo Milano), ricordando come, grazie alle tecnologie, le istituzioni culturali possano rispondere ai nuovi indirizzi della museologia e della museografia, rendendo i loro spazi aperti, democratici, partecipativi. Secondo le parole di Samanta Isaia, ne è un esempio concreto il Museo Egizio di Torino, dove il digitale ha consentito la narrazione di dati complessi, spesso invisibili, come la biografia degli oggetti. Raccontare gli scavi, i contesti di origine, il lavoro di ricerca: ecco il valore aggiunto della tecnologia nelle sale museali, rendendo visibile l’invisibile. Con la prospettiva, entro fine 2025, dell’inaugurazione di un’esperienza immersiva che restituisca i paesaggi antichi legati agli oggetti in collezione, costantemente al centro di ogni attività dell’Egizio.
Contenuti e competenze (ma attenti al cybergrip!)
Al dibattito “Quali competenze per quali contenuti per quali mercati” hanno partecipato Alex Ginés Domenech (Neapolis), Julie Walsh (curatrice), Luigi Ferrara (Centre for Arts, Design and Information Technology), Claudio Prati (AiEP), Claudio Caciolli (Bright Festival), Rocio Trujillo Alba (Fever). È emersa l’importanza della raccolta dei dati dei consumatori e degli analytics per un’ottimizzazione dell’offerta, con l’invito a monitorare il feedback del pubblico.
Se l’arte è destinata a diventare sempre più immersiva, al punto da consentire la partecipazione dell’utente con meno hardware/protesi/sensori possibili, d’altro canto Ferrara ha avvertito circa i rischi del fenomeno, ormai talmente pervasivo da non garantire via d’uscita (cybergrip). Perché già il semplice “like” costituisce la tecnologia più immersiva che esista, un narcotico in grado di isolarci dal resto del mondo.
Storytelling, metaversi, NFT
Una sessione è stata interamente dedicata al tema “Progettualità immersiva: new experience”. Vanessa Bozuffi (Mou Lab Collective) ha enucleato come i nuovi media producano spesso una perdita del focus narrativo, adottando racconti che si dipanano in superfici più ampie laddove manchi un’unica visione frontale. Il risultato è un’immersione nell’io dello spettatore piuttosto che all’interno di uno schermo o un visore. Stefano Paiocchi (Zaha Hadid Architects) ha invece presentato l’applicazione del concetto di metaverso nell’architettura e nel design. L’adozione delle tecnologie e dei linguaggi tipici del gaming porta ai consumatori vantaggi quali customizzazione, user engagement e co-creatività.
Rahim Unlu (NFT Biennial) ha ricordato il problema della frammentarietà dell’ecosistema degli NFT. Uno dei modi per interconnettere i vari attori in gioco sarebbero le esperienze phygital, quindi luoghi ed eventi fisici di settore come volano per un’immersività fondata sulla curatela e (ancora) sulla gamification degli spazi espositivi.
La scena italiana tra opportunità e criticità
Nei dibattiti su “La scena italiana” moderati da Sara Tirelli ciascun partecipante ha fornito la propria definizione di immersività. Le parole chiave? Interazione, percezioni sensoriali, sinestesia, condivisione dell’esperienza, componente ludica, sottoculture, customizzazione, network, spazializzazione sonora, proiezioni, universi narrativi, intelligenza artificiale, recupero della dimensione fantastica e immaginativa.
È emersa dunque la duttilità del concetto di immersività, dalle installazioni alla VR, passando per il tradizionale impiego di light e sound design. Aleggia sul dibattito la concezione otto-novecentesca di opera d’arte totale, senza dimenticare d’altronde che non tutto ciò che è immersivo è necessariamente frutto di una proiezione (è il caso dei feed dei social).
È toccato a Omar Rashid (Gold) ricordare che il problema più grande per le produzioni in VR è rappresentato dalla carenza di spazi e di occasioni, presupposto imprescindibile affinché il nuovo linguaggio diventi sociale. Gli operatori europei del settore possono però unirsi e fare massa critica, grazie al progetto European XR Landscape presentato da Federico Anselmi, il quale ha notato come le produzioni e le industrie italiane siano poco conosciute e rappresentate persino in patria, motivo per cui molti creativi scelgono di emigrare verso altre nazioni, più accoglienti e soprattutto desiderose di investire fondi pubblici in progetti artistici innovativi.
Dalla teoria alla pratica: ambienti e visori
Oltre ai numerosi interventi ricchi di esempi e best practice, l’Atlas ha fornito l’occasione per prendere visione di alcuni dei migliori esempi di arte immersiva dell’ultimo paio d’anni. In diversi casi, ne è stata offerta una testimonianza attraverso narrazioni foto/video all’interno del teatro del MEET (segnaliamo in particolare gli intermezzi artistici di fuse* e Jérémy Griffaud). In altri, invece, è stato possibile esperire direttamente i lavori in questione.
Nella sala immersiva MEET è stato presentato il nuovo progetto di Above&Below dal titolo Regenerative Symphony, nato da una riflessione sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale al servizio della sostenibilità: un vero e proprio lavoro di ricerca sui minerali critici, su come riciclarli e su come l’IA può contribuire allo sviluppo di nuovi materiali. Il pubblico era quindi circondato da schermi con dati e animazioni 3D di matrice mineral-atomica tendenti all’astrattismo.
Dopo una presentazione sul palco, Richard Broadbridge ha dato dimostrazione pratica dello storytelling video-volumetrico di 4Dviews attraverso un visore Apple Vision Pro, indossando il quale abbiamo ammirato una danzatrice indiana in realtà aumentata, in una eccezionale risoluzione di impareggiato fotorealismo. A conclusione della rassegna, il team di MetaGate ha proposto una serie di esperienze ludico-artistiche targate HolyClub nel VR corner di MEET, sempre in realtà aumentata ma stavolta tramite Meta Quest 3, fornendo l’occasione per “toccare con mano” le nuove frontiere dell’interazione tra due o più utenti all’interno di un ambiente condiviso.