Esperienza tecnica ed esperienza estetica: il ruolo dell’arte oggi
- FOCUS
- 27 Maggio 2024
Nel precedente contributo abbiamo visto come la sensibilità umana presenti una spontanea tendenza a estendersi in artefatti tecnici che, oggi – nell’epoca della rivoluzione informatica, del digitale e del virtuale – sono diventati così pervasivi da costituire un vero e proprio ambiente. Come osserva il filosofo Luciano Floridi, le nuove tecnologie di natura informatica, da semplici strumenti per scopi utilitari, si affermano sempre più come “forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative”, che in maniera profonda e incessante “creano e forgiano la nostra realtà fisica e intellettuale, modificano la nostra autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con noi stessi, aggiornano la nostra interpretazione del mondo” (La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta cambiando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017, p. IX). Ma in che modo tale sconfinamento inorganico della sensibilità incide sull’organizzazione dell’esperienza?
Narcosi e intorpidimento
È stato Marshall McLuhan a mettere in luce come ogni nuova protesi mediale corra il rischio di produrre una forma di narcosi e di intorpidimento negli individui. Una narcosi che richiama il modo in cui Narciso viene irretito dalla propria immagine:
“Il giovane Narciso scambiò la propria immagine riflessa nell’acqua per un’altra persona. E questa estensione speculare di se stesso attutì le sue percezioni fino a fare di lui il servomeccanismo della propria immagine estesa o ripetuta. La ninfa Eco cercò di conquistare il suo amore con frammenti dei suoi stessi discorsi, ma senza riuscirvi. Narciso era intorpidito. Si era conformato all’estensione di se stesso divenendo così un circuito chiuso. Il senso di questo mito è che gli esseri umani sono soggetti all’immediato fascino di ogni estensione di sé, riprodotta in un materiale diverso da quello di cui sono fatti” (Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 2015, p. 58).
È difficile dare torto a McLuhan e negare che l’estensione tecnica della sensibilità, nei suoi sviluppi contemporanei, abbia per lo più svolto un’azione anestetica o desensibilizzante. Affidando le sue esplorazioni e le sue attività a protesi tecniche, la sensibilità umana limita infatti la propria esposizione all’esperienza e pertanto la sua inclinazione a elaborare tale esperienza in forme dotate di senso. A ciò si aggiunge, come inevitabile conseguenza, un fenomeno di assuefazione, che riduce i sensi ad attivarsi soltanto se continuamente sollecitati dal dispositivo tecnologico.
Liberare il sentire: il ruolo dell’arte
Come suggerito dallo stesso McLuhan, questo intorpidimento può essere combattuto attraverso quelle pratiche che, lavorando a contatto con i media, riescono a generare nuove energie creative, a individuare percorsi inediti di espressione. Il luogo in cui si incontrano queste pratiche è il dominio dell’arte. Gli artisti sono le figure maggiormente in grado di raccogliere la sfida proveniente dallo sviluppo dei media, approntando carte di navigazione per orientarci in un panorama in continua trasformazione. Compito dell’artista è quello di “correggere i rapporti tra i sensi prima che i colpi di una nuova tecnologia abbiano intorpidito i procedimenti coscienti, […] prima che cominci il torpore e l’annaspare subliminale” (Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 2015, pp. 78-79).
Insomma, le arti interessate alle tecnologie hanno oggi il compito di rigenerare l’esperienza di una sensibilità ormai totalmente innervata dalle tecnologie. Così come ha determinato un intorpidimento dei sensi, può la tecnologia contribuire, mediante le pratiche artistiche, a produrre nuove condizioni percettive e nuove modalità di espressione?
Attivare relazioni
Evitando le opposte semplificazioni, da un lato quelle di chi rivendica con euforia la centralità dei mondi digitali, e dall’altro quelle di chi si limita a denunciarne la funzione unicamente commerciale e di intrattenimento, si tratta dunque di considerare le modalità con cui la sperimentazione artistica ne esplora criticamente le risorse e ne valorizza le potenzialità creative. Il tratto che contraddistingue in modo evidente le nuove tecnologie risiede nella loro natura relazionale e partecipativa, vale a dire nella capacità di agevolare e migliorare le comunicazioni e le interazioni, appagando, anche se forse in modo illusorio, il desiderio di annullare le distanze spazio-temporali, di connettere tutto a tutto e di prendere attivamente parte all’accadere stesso della realtà. La relazione con un dispositivo tecnologico in grado di reagire ai nostri gesti è ormai diventata una pratica quotidiana.
Quanto spesso, volontariamente o meno, ciascuno di noi compie azioni interattive e, nel fare questo, deposita nelle memorie dei database tecnologici un’elevatissima quantità di dati? Tracce che possono a loro volta ricondurre alle nostre abitudini, diventando così materiale per sfruttare e condizionare i nostri pensieri e desideri, oltre che per orientare le nostre scelte. L’interattività ha ormai raggiunto una centralità indubitabile nella proliferazione dei dispositivi tecnologici che pervadono la nostra vita quotidiana.
L’opera degli artisti deve liberare l’interattività da una condizione di automatismo inconsapevole, di pura funzionalità, di mero intrattenimento, e avviare al suo posto un tipo di interattività che si sviluppi sul piano simbolico: che nutra e ispiri l’immaginario, facendo emergere inedite potenzialità espressive e cognitive della relazione (couplage) con la macchina. È a questa condizione, infatti, che l’arte, per dirla con Mikel Dufrenne, si rivela continuamente “gravida di un mondo possibile” (Trattato di estetica, Mondadori, Milano 1981, p. 46). Un possibile che non si oppone al reale come altro mondo, ma ne attraversa la trama come possibile del mondo e trova nelle pratiche artistiche una sempre rinnovata attualità, chiamando a raccolta saperi, sperimentando percezioni, sollecitando forme inedite di creatività e di fruizione.