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Julie al Teatro Franco Parenti: intervista a dramaturg e regista

È in scena dal 10 al 14 aprile 2024, al Teatro Franco Parenti di Milano, Julie, da La signorina Julie (1888) di August Strindberg, una produzione del Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. Sul palco Matteo Bonanni e Maria Laura Palmeri.
Nella notte di festa che inaugura l’estate, all’interno della cucina di una nobile dimora, la contessina Julie ingaggia un gioco di seduzione con Jean, servitore del padre. Ma la schermaglia amorosa diventa subito pericolosa.
Lo spettacolo afferisce al progetto PNRR CHANGES e, grazie a una serie di interventi dedicati, sarà successivamente fruibile in realtà virtuale come video immersivo a 360°. Ne abbiamo parlato con Maddalena Mazzocut-Mis e Paolo Bignamini, rispettivamente dramaturg e regista.

Tra scena e accademia

Maddalena Mazzocut-Mis, professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano, è saggista e drammaturga. Ha curato la prima edizione italiana dei Salons di Diderot per Bompiani, pubblicata nel 2021. Tra le sue ultime monografie nel campo della saggistica ricordiamo Frammenti di sipario (2019). Alcune sue drammaturgie sono pubblicate nei volumi Teatro da leggere. Mito e conflitto (2020) e Vuoti a rendere e vuoti a perdere (2021). È vincitrice di numerosi finanziamenti per la ricerca italiani ed europei. Insieme a Francesco Tissoni, è responsabile del WP4 del PNRR CHANGES – Spoke 2.
Regista teatrale, giornalista e drammaturgo, Paolo Bignamini collabora con il Centro Teatrale Bresciano e con il Teatro de Gli Incamminati. Nel suo lavoro indaga la relazione tra il tempo e lo spazio sulla scena, concentrandosi in particolare sulla drammaturgia francese del XX secolo. Tra le sue regie recenti: Hiroshima mon amour (2023), da Marguerite Duras; Noi saremo felici ma chissà quando (2021), da Biljana Srbljanovic; Solaris (2017), da Lem/Tarkosvkij/Sinisi. Cura la direzione artistica de I libri sulla scena, festival teatrale in lingua italiana di Friburgo.

La parola agli intervistati

Porterete in scena l’adattamento di un testo controverso, un conflitto tra i sessi e le classi sociali. Qual è la sua attualità? Perché ritenete che il dramma “letto oggi, supera addirittura la consapevolezza che ne aveva lo scrittore”?

MMM: “A mio parere è una questione di diversa consapevolezza. Strindberg era cosciente del profondo cambiamento conflittuale del suo tempo: una borghesia emergente che ancora si trovava a dover lottare contro i privilegi di un’aristocrazia decadente. Oggi il conflitto sociale è nell’Occidente un ingranaggio del capitalismo contemporaneo. Le crisi del 2007-2009 e quella a noi più vicina, senza contare la pandemia, all’interno di una grande frammentazione e stratificazione sociale (frammentazione perfino fisica dei luoghi di lavoro, sfruttamento e disuguaglianze, migrazione, società liquida, crisi dell’idea di democrazia e finalmente una maggiore affermazione del ruolo della donna) mettono in campo una non minore aggressività tra soggetto e soggetto e soprattutto tra uomo e donna. Un’aggressività che è un gioco di ruoli legato a una profonda incomprensione e incapacità di mettersi nei panni dell’altro. Un conflitto sociale quindi che riproduce i suoi schemi conflittuali all’interno di un panorama che, sebbene diverso, li accoglie ancora tutti”.

PB: “Credo che, semplicemente, ci troviamo davanti a un testo capace di rivelare alcune voragini costitutive dell’umano. In questo senso travalica l’idea dell’autore, che pare improntata a un’osservazione oggettiva, e che invece diventa una soggettiva spaventosa nelle pieghe di ciò che siamo”.

In che modo l’affiliazione a CHANGES ha influito sulla scelta del testo? Considerate Julie un banco di prova per gli obiettivi del progetto?

MMM: “Certamente! Il fatto che lo spettacolo sia una sperimentazione in atto delle finalità del progetto ci ha indirizzato verso un testo dove il conflitto tra due attori e il cambio di punti di vista fossero spinti alla massima tensione”.

PB: “Un passaggio da oggettivo a soggettivo. Quindi il primato dello sguardo e del punto di vista, che mette in discussione, anche rovinosamente, ciò che è dato: lavorare sulla reciproca decostruzione della realtà da parte dei personaggi ci è sembrato uno spunto valido per una verifica teatrale degli obiettivi teorici del progetto”.

Il testo di Strindberg è accompagnato da una prefazione teorica sul teatro naturalistico. Vi sarà d’ispirazione per la messinscena e per la successiva sperimentazione in VR? La realtà virtuale può essere una forma di teatro naturalistico?

MMM: “L’introduzione di Strindberg è di fatto l’esplicitazione della sua poetica. Un’introduzione particolarmente pregnante. Che cosa sia però oggi ’naturalismo’ e che cosa possa essere naturalismo all’interno della VR è ancora presto per dirlo. Tutta la polemica sull’iperrealtà e sull’iperrealismo (che sfocia in una rappresentazione tanto dettagliata e immersiva da essere ridondante e sovrabbondante) sicuramente dovrà essere tenuta in conto nella ricostruzione virtuale dello spettacolo”.

PB: “La mia sensazione è che la questione decisiva non si giochi tanto su un ideale aggiornamento del teatro naturalistico, quanto sulla possibilità stessa di fondare dei codici credibili condivisi per una messinscena che tenga conto fin da subito della sperimentazione successiva. Credo che ne capiremo di più addentrandoci gradualmente nel lavoro”.

Lavorerete soltanto con due attori. Quali sfide comporta questa decisione, in termini di drammaturgia, regia scenica e in realtà virtuale?

MMM: “A mio parere è una pulizia che consente una maggiore concentrazione e quindi risultati più originali e meditati”. 

PB: “Principalmente la possibilità di indagare in modo più approfondito i fili del testo che ci interessa far emergere in questo progetto”.

È raro che il teatro collabori con l’università. In base alla vostra esperienza, quali benefici si possono ricavare in termini di ricerca e di didattica? In che modo coinvolgerete la comunità accademica in Julie?

MMM: “Per Paolo e per me si tratta di una collaborazione ormai decennale, proprio con il teatro Franco Parenti di Milano. Più che alla comunità accademica – spesso distratta da altro – la nostra attenzione è costantemente rivolta agli studenti, destinatari ideali e appassionati interpreti di nuove sfide. Il teatro dal vivo per gli studenti rappresenta sempre un orizzonte di riferimento e riflessione che si riverbera su tutti i media”.

PB: “In realtà una parte importante dei miei lavori teatrali è nata in dialogo con il mondo dell’università. Ho sempre trovato interlocutori aperti e preziosi, e ho portato avanti con loro progetti che si sono rivelati per me significativi. Spero che questa nuova occasione confermi la stessa esperienza”.

Il teatro è cronicamente descritto in crisi (crisi economica, crisi creativa, ecc.). Credete che le tecnologie di cui ci occupiamo (in primis realtà virtuale, ma anche Blockchain, AI, NFT) possano contribuire a un suo rilancio?

MMM: “Ne siamo convinti e non potrebbe essere altrimenti. L’importante sarà coinvolgere il teatro in un rinnovamento che non lo snaturi e che anzi potenzi le sue capacità attrattive, in riferimento a quel ’qui ed ora’ unico e irripetibile”.

PB: “Il teatro non può darsi se non in rapporto alla realtà. Il teatro è in crisi perché è il riverbero di una realtà in stato di crisi. Alla luce di questo tutte le tecnologie che consideriamo nel nostro progetto possono senz’altro incidere nella direzione di un cambiamento, che però avviene in costante dialogo tra reale e rappresentato, tra reale e virtuale. Mai in un campo solo”.

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Vincenzo Pernice
Assegnista di ricerca, PNRR CHANGES Spoke 2 WP4

Dottore di ricerca in Visual and media studies, svolge Oltre le quinte: progettazione di uno storytelling multimediale per comunicare e valorizzare nuove esperienze performative e il patrimonio teatrale italiano.

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