DAW, NFT, IA e diritti sulle immagini dei beni culturali
- FOCUS
- 25 Novembre 2024
Torniamo sulle nuove forme di valorizzazione e sfruttamento economico dei beni culturali attraverso le tecnologie digitali, per segnalare alcuni esperimenti realizzati dai musei italiani (e non) di Digital ArtWork, tokenizzazione di opere d’arte, esperienze immersive e utilizzo dell’intelligenza artificiale, anche allo scopo di fare qualche riflessione sulla loro compatibilità con la normativa del MIC (i famosi Decreti Sangiuliano) sull’uso e riuso delle immagini dei beni culturali per attività for profit.
Digital ArtWork e NFT
Nel panorama dei musei statali l’esempio più famoso e discusso è rappresentato dalla creazione di un Digital ArtWork (DAW) del Tondo Doni di Michelangelo.
L’operazione è stata realizzata nel 2022 sulla base di un accordo tra il Museo degli Uffizi, allora sotto la direzione di Schimt, e la società Cinello con il quale erano state selezionate una serie di opere da digitalizzare (tra cui la Madonna del Granduca, la Velata e la Madonna del Cardellino di Raffaello, La nascita di Venere, la Primavera e la Calunnia di Botticelli, L’Annunciazione e il Battesimo di Cristo di Leonardo, l’Eleonora da Toledo del Bronzino, il Bacco di Caravaggio, I quattro filosofi di Rubens, Leda e il cigno di Tintoretto, la Venere di Urbino di Tiziano, la Veduta di Palazzo Ducale a Venezia di Canaletto) e rivendere in tiratura limitata.
L’accordo prevedeva il versamento al museo del 50% del prezzo di vendita di ogni DAW creato, al netto dei costi sostenuti per la sua digitalizzazione. Si tratta di una tecnologia brevettata. Chi acquista un DAW si vede consegnare un dispositivo hardware (una sorta di tablet), un certificato attestante l’autenticità del DAW, un monitor e una cornice di fattura artigianale che è fedele copia fisica di quella originale, mentre l’opera è una trasposizione ad alta definizione, realizzata e brevettata dall’azienda che la commercializza, rendendo il risultato finale della visualizzazione dell’immagine del tutto simile all’opera originale. Il dispositivo è l’oggetto che a bordo ospita il software che implementa il brevetto e che consente di garantire l’unicità e la protezione del file che viene distribuito sul dispositivo per la visualizzazione.
La gestione del dispositivo da parte dell’acquirente avviene attraverso una mobile app: una volta configurato e messo in rete è possibile compiere operazioni molto semplici. La configurazione lega (quasi fisicamente) la app al monitor attraverso la generazione di una chiave criptografica che è quella utilizzata nel momento in cui l’immagine del file è scaricata.
Il legame tra device e monitor fa sì che, se il dispositivo dovesse essere collegato a un monitor diverso da quello su cui è stato configurato, l’opera non verrebbe visualizzata: e questo la rende ancora più unica oltre che utilizzabile come un oggetto d’arte; dunque, può essere esposta come un quadro e trasportata in quanto dotata di una materiale “corporeità”.
Diversamente da un DAW, invece, il token infungibile o NFT è un oggetto digitale immateriale associato ad uno smart contract unico, iscritto su Blockchain, ossia una copia digitale in altissima definizione, prodotta in serie limitata e certificata, destinata a circolare su piattaforme online e privo di “corporeità”. Un esempio particolarmente famoso è rappresentato dalla tokenizzazione dell’opera Il Bacio di Gustav Klimt da parte del Museo del Belvedere di Vienna. Il 14 febbraio 2022, in occasione della ricorrenza di S. Valentino, la prestigiosa ha posto in vendita 10.000 NFT del Bacio di Klimt. L’evento ha determinato l’acquisto di 2.400 NFT – pari a circa un quarto degli NFT emessi – al prezzo di 1.850 euro ciascuno, assicurando al museo un introito di circa 4,3 milioni di euro.
La singolarità del fenomeno risiede nella circostanza che la stessa immagine digitale del capolavoro di Klimt è rilasciata in rete dal museo con una licenza gratuita che permette a chiunque di riutilizzarla commercialmente, al pari di tutte le altre immagini delle opere del museo viennese che ricadono nel pubblico dominio. Ciò dimostra che l’open source delle immagini dei beni culturali non azzera i profitti ma li incentiva, spostando l’attenzione dei potenziali acquirenti sulle riproduzioni più tecnologiche e innovative, ed anche più remunerative per le istituzioni museali.
VR ed esperienze immersive
La diversa fruizione dei beni appartenenti al patrimonio culturale italiano passa oggi anche attraverso esperienze immersive e la possibilità di trovarsi contemporaneamente in due musei diversi, in modalità sia reale che virtuale.
È quanto accaduto grazie alla collaborazione tra il MAXXI e il Vittoriale degli Italiani realizzata nell’ambito del progetto di ricerca e sviluppo “Connessioni Culturali” finanziato dal bando “Tecnologie 5G. Progetti di sperimentazione e ricerca”, promosso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy proprio con l’obiettivo di innovare la fruizione del patrimonio artistico-culturale rendendolo più accessibile a un pubblico globale, oltre ogni vincolo geografico.
L’iniziativa, che ha visto protagonisti i due musei soltanto per alcune giornate nel mese di ottobre, ha sfruttato l’uso combinato di diverse tecnologie per consentire di visitare i due musei nello stesso momento, uno dal vivo e l’altro con il proprio “gemello digitale”.
Alla base del funzionamento del progetto vi sono la connessione 5G e le tecnologie di scansione 3D, la fotogrammetria, la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR) che consentono ai visitatori di creare i propri “gemelli digitali” in uno spazio fisico-virtuale condiviso (Metaverso). Questi “gemelli digitali” sono implementati attraverso l’Intelligenza Artificiale che ne permette i movimenti e il riconoscimento delle opere d’arte e sono memorizzati su Blockchain, garantendo la tracciabilità dei dati e la possibilità di riutilizzarli in esperienze future.
In questo modo, i visitatori presenti al MAXXI potevano visitare le due stanze del Vittoriale (la Stanza del Lebbroso e la Stanza delle Reliquie) grazie all’utilizzo di visori di Realtà Virtuale, mentre le persone che si trovavano al Vittoriale potevano accedere agli spazi espositivi del museo romano e, per mezzo di visori di Realtà Aumentata, interagire con gli oggetti in esposizione e i “gemelli digitali” degli ospiti lì presenti.
Compatibilità di IA, NFT e DAW con i Decreti Sangiuliano
L’operazione compiuta dagli Uffizi aveva suscitato grande clamore mediatico tanto da costringere il MIC a sospendere ogni attività di questo genere connessa alle opere del patrimonio culturale italiano da parte degli enti museali ed avviare una “Indagine conoscitiva in materia di uso dei certificati digitali di unicità nell’arte” presso la VII Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei Deputati.
Gli esiti di questa indagine sono poi confluiti nelle “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali” allegate al c.d. decreto Sangiuliano (D.M. 161 del 04 aprile 2023), che a loro volta si sono mosse nel solco già tracciato dalle “Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale” rilasciate dal MIC nel 2022 (c.d. PND – Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale 2022-2023), in cui per la prima volta si è dato atto del fatto che lo sfruttamento economico del patrimonio culturale italiano possa passare anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, ivi inclusi gli NFT (di cui si fa espressa menzione).
Tuttavia, a distanza di un anno, il Ministero ha emendato le Linee Guida con il d.m. 21 marzo 2024, n. 108, viste le polemiche che hanno accompagnato l’entrata in vigore e la prima applicazione del Decreto, soprattutto da parte dell’accademia – si pensi che anche all’attività editoriale connessa alla ricerca scientifica risulta essere gratuita (per le riproduzioni dei beni culturali) solo per pubblicazioni liberamente accessibili da chiunque (c.d. open access), oppure per pubblicazioni a pagamento ma inferiori alle 2.000 copie e ai 70 euro come prezzo di copertina, come stabilito dal D.M. 8 aprile 1994.
Tra le novità del Decreto 2024 c’è l’abrogazione della precedente disciplina relativa agli NFT, nonché la totale scomparsa della loro semplice menzione dal testo del decreto. Vengono richiamate soltanto le “copie o serigrafie digitali in altissima definizione destinate al mercato”, tra cui probabilmente possono farsi rientrare sia quelle dei DAW sia quelle degli NFT, ma il coefficiente da applicare sulle vendite di NFT (che rappresenta il parametro di calcolo della tariffa da riconoscersi all’ente che ha in custodia il bene) è stato sensibilmente ridotto nella misura minima del 10% (prima oscillava da un minimo del 90% ad un massimo del 99%) ed è stata ampliata l’autonomia negoziale stabilendo che il coefficiente possa essere “incrementato eventualmente valutando caso per caso, in relazione al contesto di vendita finale”.
Sorprendente è invece la totale assenza dal testo del decreto di ogni riferimento alle riproduzioni e rielaborazioni dei beni culturali realizzate da sistemi di Intelligenza Artificiale, che rappresenta certamente la frontiera tecnologica più avanzata e destinata in futuro ad espandersi. Allo stato attuale restano completamente liberi e gratuiti sia gli usi e riusi delle immagini dei beni culturali per alimentare e tenere aggiornati i modelli di IA (c.d. feeding), sia le elaborazioni creative delle stesse immagini dei beni culturali fatte dai sistemi di IA.
In entrambi i casi si tratta di attività a scopo di lucro che, a differenza di tutte le altre, sfuggono alle maglie dei Decreti Sangiuliano e che vengono realizzate spesso da imprese localizzate fuori dall’Italia, nei confronti delle quali l’applicazione di queste disposizioni è persino contestata dai tribunali stranieri (si pensi a quanto stabilito dal Tribunale di Stoccarda nel caso Ravensburger sulla non applicabilità del Codice dei Beni Culturali fuori dal territorio italiano).
Non ci si può stupire, allora, se per realizzare una campagna pubblicitaria da diffondere su tutti i media, che sfrutti l’immagine digitale di un’opera d’arte italiana, una multinazionale anziché pagare la tariffa di 250.000 euro venendo in Italia (come stabilito a p. 10, esempio 4, del tariffario MIC per le proiezioni audiovisive e/o le mostre immersive) decida di affidarsi ad un sistema di IA che produca una elaborazione (più o meno) fedele e totalmente gratuita dell’opera in oggetto. Né ci si potrà meravigliare se una società di produzione cinematografica internazionale, anziché venire in Italia a girare un film, pagando al Ministero i diritti sulle immagini dei beni culturali per le riprese all’aperto anche con droni, faccia una ricostruzione dei monumenti italiani con modelli di IA.
Questi esempi dimostrano che è giunto il momento di affrontare in maniera complessiva e strategica il tema delle tecnologie per la valorizzazione del patrimonio culturale, in un’ottica di lungo termine e non più soltanto in maniera rapsodica e di breve periodo, se non si vogliono penalizzare le imprese culturali nazionali e l’attrattività del sistema Paese per le imprese straniere.
Dottore di ricerca e avvocato, insegna Diritto Commerciale e Industriale (Proprietà Intellettuale e Concorrenza). È delegata del rettore per soluzioni innovative con le aziende e P.I., responsabile affari internazionali ed Erasmus presso il Dipartimento di Giurisprudenza Uniba, componente Arbitro Bancario e Finanziario (ABF Bari), Banca d’Italia. Componente massa critica progetto CHANGES Spoke 2 WP4, Milano, nonché Principal Investigator del progetto PRIN - PNRR - 2022 PRO.PER.IPRs Università di Bari e Catania.